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L’approvvigionamento diretto

direct sourcing

Con questo termine facciamo riferimento all’approvvigionamento diretto, cioè senza intermediazioni né vincoli legati alla scelta del fornitore. Sulla base delle evidenze empiriche, è possibile distinguere queste forme di direct sourcing:

  • tradizionale. Il rapporto di fornitura si realizza in assenza di forme di integrazione operativa tra le parti. Il buyer occidentale si rivolge ad un interlocutore cinese secondo un approccio che potremmo definire di “puro mercato”: il codice è standard, cioè è disponibile a catalogo senza adattamenti specifici (costi di switching limitati) e dunque presenta limitati rischi di inaffidabilità delle forniture. Il controllo qualità non presenta particolari problemi, trattandosi di acquisti reiterati a catalogo. Esso quindi viene spesso completato in Italia. Per quanto il buyer occidentale sia comunque orientato verso la stabilità nei rapporti di fornitura, in questo caso non è intenzionato ad offrire garanzie di continuità di rifornimento. La relativa facilità di reperimento del codice suggerisce infatti di cogliere le opportunità di volta in volta più favorevoli sul mercato cinese o su altri mercati.
  • collaborativo. Il rapporto in questo caso prevede la “collaborazione” operativa tra le parti. Esiste un’ampia letteratura sulle forme e i vantaggi della collaborazione cliente-fornitore. In sintesi, questa collaborazione si sviluppa in primo luogo in ambito progettuale e logistico-produttivo, finalizzata rispettivamente allo sviluppo congiunto del prodotto e alla migliore sincronizzazione del flusso dei materiali . Alla base di queste sinergie vi è la consapevolezza che la competitività non sia un attributo della singola impresa, bensì della intera catena o del network in cui essa è inserita (De Toni e Nassimbeni, 1999, 2000). L’unità fornitrice, anche se localizzata oltre-oceano, diventa allora parte di un comune sistema produttivo, distribuito a livello internazionale ma integrato e interconnesso.

 La forma di approvvigionamento diretta collaborativa è, per quanto riguarda il campione analizzato, la modalità di sourcing più utilizzata. I casi esaminati confermano infatti la presenza di ampie forme di collaborazione-interazione cliente-fornitore: la trasmissione anticipata dei piani di produzione, la definizione congiunta delle specifiche di prodotto, la condivisione di scelte di ingegnerizzazione e industrializzazione, l’adozione da parte del fornitore di modalità concordate di pianificazione, lavorazione, controllo qualità, imballaggio e trasporto. I codici di acquisto interessati a questa forma di sourcing presentano un elevato contenuto di tecnologia, di qualità o di servizio. In altri casi, essi si caratterizzano per un limitato ciclo di vita: la collaborazione clientefornitore è sollecitata appunto dal rapido e frequente rinnovo del campionario di prodotti o modelli, rinnovo che richiede fornitori flessibili, affidabili, pronti a recepire rapidamente le nuove specifiche.
E’ interesse del buyer occidentale quello di far “crescere” il fornitore, metterlo cioè in condizione di migliorare le sue performance. E’ allora possibile che il cliente si impegni nella qualificazione del fornitore tramite un iniziale trasferimento di un corretto modus operandi, che può evolvere in seguito verso la completa riorganizzazione del fornitore e la formazione di quadri e dirigenti locali.
Nel campione esaminato queste forme di collaborazione sono a volte accompagnate da accordi equity, cioè da forme di partecipazione di capitale. La normativa cinese che disciplina queste forme contrattuali è piuttosto complessa e in costante evoluzione.
Questo argomento verrà ripreso ed approfondito in un capitolo successivo. Possiamo qui anticipare che le forme di investimento utilizzate in Cina dai soggetti stranieri sono essenzialmente tre (Weber, 1995; Padolecchia, 2003, ICE, 2003):

  • equity joint venture (EJV): la forma societaria è quella tipica di una società a responsabilità limitata, costituita e gestita congiuntamente da due o più soci che dividono rischi, responsabilità, perdite e profitti, sulla base delle quote di capitale investite.
  • contractual joint ventures (CJV) o società di coproduzione: in questo caso i conferimenti dell’investitore straniero sono normalmente costituiti da valuta, attrezzature e tecnologie avanzate mentre l’apporto cinese può limitarsi all’immobile, alle attrezzature reperibili in Cina e al diritto d’uso del terreno. Si differenzia dalla precedente in quanto non necessariamente comporta la costituzione di una società autonoma, dotata di personalità giuridica. Questa forma societaria offre il vantaggio di una superiore flessibilità gestionale e di una maggiore semplicità amministrativa.
  • wholly foreign-owned enterprise (WFOE). L’investitore straniero costituisce una società a responsabilità limitata di diritto cinese, da lui totalmente posseduta e gestita. In passato, la legge stabiliva che le WFOE fossero “advanced technologyoriented” o producessero per l’esportazione. In seguito ai recenti emendamenti anche questo requisiti sono stati di fatto cancellati. Questo tipo di impresa deve conformarsi a principi costitutivi, gestionali, fiscali e contabili del tutto simile a quelli vigenti per le equity joint venture.

 La WFOE è recentemente diventata il veicolo preferenziale dell’investitore straniero (dove possibile: vi sono settori in cui sussiste l’obbligo ad operare con società miste).
Il principale vantaggio della WFOE è il controllo. Molte esperienze di EJV mostrano infatti come la partecipazione cinese possa dimostrarsi difficilmente governabile, mentre la totale proprietà offre una maggiore protezione per la “proprietà intellettuale”.
D’altra parte, la rinuncia ad un partner locale può generare maggiori problemi di inserimento nel contesto industriale locale (attivazione di relazioni commerciali) ed una maggiore vulnerabilità a fronte di contenziosi legali. Inoltre, i benefici fiscali, e più in generale le agevolazioni governative rivolte alle WFOE, possono essere sensibilmente più contenute.
I casi esaminati mostrano inoltre come il direct sourcing collaborativo sia accompagnato dall’utilizzo di International Purchasing Office, il cui ruolo consiste nella gestione delle principali attività operative a supporto degli approvvigionamenti dalla Cina. Ad essi sono tipicamente delegate le attività di: controllo qualità presso i fornitori, eventualmente tramite personale cinese stabilmente impiegato presso i loro stabilimenti, ricerca dei nuovi fornitori, gestione della negoziazione e stesura dei contratti, gestione della comunicazione, trasferimento di know-how tecnico e gestionale.
Può essere interessante esaminare le relazioni tra la tassonomia appena proposta e l’unica altra tassonomia che abbiamo rivenuto in letteratura: quella di Wang (2004).
L’autrice distingue queste tipologie di sourcing sulla base del soggetto estero acquisitore:

  • grandi multinazionali industriali (”Manufacturing MNCs”) che hanno costituito in Cina basi di produzione e approvvigionamento. Tra gli esempi l’autrice cita General Motors e Siemens, da tempo presenti in questo mercato con joint-ventures produttive e reti ben radicate di fornitura;
  • trading companies che gestiscono in forma intermediata gli approvvigionamenti di imprese occidentali. L’esempio è quello di McDonald, che in questa forma acquista da queste imprese l’oggettistica e le “sorprese” a supporto delle vendite.
  • giganti mondiali della distribuzione (“Retailing Giants), come WalMart e Carrefour, che da tempo e massicciamente ricorrono al mercato cinese. Molti prodotti venduti con il marchio del distributore provengono anzi da questo paese.
  • buyers e agenti d’acquisto (“procurement professionals and agent”), che si interfacciano in preferenza a piccoli clienti occidentali per i quali curano gli approvvigionamenti in Cina.

Mentre la nostra classificazione poggia prevalentemente sulla natura del rapporto cliente-fornitore (imposto, intermediato, diretto con o senza partecipazione di capitale, ecc.), questa si basa dunque sul profilo del soggetto estero acquisitore. Le due variabili sono evidentemente correlate (tabella 4.2). Le trading companies, orientate a grandi volumi e a una forma di mediazione soprattutto commerciale, realizzano quella che in precedenza abbiamo definito “intermediazione tradizionale”, mentre i buyers e agenti d’acquisto si orientano verso quel servizio più specializzato, personalizzato e a maggiore contenuti operativi che in precedenza abbiamo chiamato “outsourcing di servizi logistici internazionali”. Le grandi multinazionali citate da Wang (2004) privilegiano forme di sourcing di tipo diretto, con e senza accordi equity, spesso supportate da solidi IPOs in terra cinese. Il sourcing dei giganti distributivi è probabilmente baricentrato su modalità dirette tradizionali, anche perché il ruolo di questi soggetti è unicamente commerciale.

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